Tu lì non ci sei davvero
Quando usiamo ChatGPT e simili, nei contenuti che ne escono noi non ci siamo davvero. È dunque sbagliato farne uso? Beh...
Carissime e carissimi,
anche io utilizzo strumenti cosiddetti di intelligenza artificiale per la ricerca di contenuti e idee. Sottolineo bene: per la ricerca. Sì, perché si tratta di strumenti che possono essere davvero utili per trovare idee (magari anche per trovare idee da non utilizzare).*
Ora, io penso che il mondo possa già dividersi in due macro categorie:
chi non utilizza questi strumenti di ricerca ed elaborazione di contenuti, come ad esempio ChatGPT, ciascuno per le proprie buone ragioni: dal rifiuto a priori all’abbandono dopo prove e tentativi;
dall'altra parte ci sono le persone invece che lo utilizzano (poco o molto).
Gli utilizzatori di ChatGPT e compagnia
A sua volta, divido il gruppo degli utilizzatori in due (ma sono aperto a suggerimenti da parte vostra):
chi utilizza ChatGPT (e compagnia) scientemente, per la ricerca di spunti, idee oppure anche per la complessa elaborazione di contenuti personalizzati, magari con una versione premium del software, sapendo che si tratta di una macchina che non sa esattamente ciò che sta facendo, perché non ha coscienza di esistere e non dovrebbe avere capacità di comprensione semantica di ciò che produce (un attimo e mi spiego);
chi utilizza ChatGPT (e compagnia) maldestramente per produrre contenuti che rispettano il criterio di funzionamento del software e cioè la nuda probabilità. Significa in altri termini che le AI - detto con la semplicità del non tecnico - elaborano contenuti probabili, tuttavia, se sono probabili, si tratta di contenuti che possono elaborare più o meno allo stesso modo, spesso addirittura identici, tutte le altre persone che vi si approcciano in un modo maldestro o da inesperti. Il problema è che a questo gruppo sembra appartenere la maggioranza degli utenti.
In definitiva, per utilizzare proficuamente questi strumenti AI per l’elaborazione di contenuti, bisognerebbe saperlo fare per davvero: si tratta di un lavoro vero e proprio che si aggiunge a qualunque altro tipo di lavoro.
Insomma, un lavoro a tempo pieno, che richiede competenze professionali specifiche: non dobbiamo pensare che sia così scontato saper usare i cosiddetti prompt, cioè - se l’ho ben capita - i comandi e le domande opportune perché il software AI dia le risposte che cerchiamo. Non solo: a questo si aggiunge che si tratta di un lavoro che richiede parecchie energie, soprattutto a chi non vi si dedichi a tempo pieno o quanto necessario.
Il rischio, allora, è che ci perdiamo nell'elaborazione dei contenuti e finiamo per perdere di vista il soggetto più importante in tutto questo: noi stessi.
Ecco perché ho intitolato questo articolo dicendo che “lì dentro tu non ci sei”.
Ed ecco la ragione per cui utilizzo anche ChatGPT per la semplice ricerca di idee e ispirazioni, ma non per la vera e propria elaborazione di contenuti, che io non so fare e non ho intenzione di imparare a fare. Qualcuno mi ha chiesto perché io non ne abbia intenzione.
Non voglio imparare a farmi fare contenuti dall'intelligenza artificiale, perché preferisco impegnare le mie energie per lavorare bene e di più su me stesso, per sentirmi realmente autore dei miei contenuti e per ritrovarmici ogni volta che li rivedo. Magari per ritrovare anche un me stesso in cui non mi riconosco più perché nel frattempo posso essere cambiato, tuttavia so che quello, in quelle parole e in quella forma, ero davvero io.
Per quanto si possa personalizzare lo strumento, anche nella versione premium, nella realtà nessun essere umano si trova davvero dentro al software AI mentre lo utilizza. Il software non vive le mie credenze, i miei sentimenti e la mia viva visione del mondo. Viva perché come ogni visione è soggetta a continui mutamenti persino nell'arco della stessa giornata: pensiamo a quanto l’umore del momento possa influenzare le nostre parole perché può influenzare i nostri pensieri momentanei.
Ma in definitiva che cosa significa tutto ciò?
Tutto ciò significa che ognuno di noi elabora ogni proprio contenuto in base non solo alle credenze, alle opinioni, ai sentimenti, ma anche in base alle circostanze. Ogni volta che elaboriamo un contenuto stiamo vivendo l'elaborazione medesima, e questo può condizionare la costruzione del contenuto stesso. Omettere tutto questo significa cancellare l'unicità, anche temporanea, della persona, la sua umanità e in definitiva la sua autenticità.
Di questo approfondisco nel video qui sotto, dove vediamo spunti su ciò possiamo fare per le nostre idee uniche e differenzianti, come umani e come professionisti.
Buona visione, e a presto!
Stefano
E adesso…
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Sono Stefano Todeschi, consulente e formatore specializzato in public speaking pratico. Aiuto manager e imprenditori appassionati a comunicare in pubblico con più sicurezza e autorevolezza. Ecco come possiamo lavorare insieme in consulenza privata.
*L’ho imparato grazie anche a Giorgio Taverniti, Raffaele Gaito, Andrea Ciraolo, questi sono gli esperti che seguo